Un gruppo di ricercatori provenienti da diversi centri di ricerca, tra cui il Laboratorio Acelerador Nacional SLAC del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, l’Università di Stanford, l’Istituto di Ricerca di Toyota e il MIT, ha utilizzato la visione artificiale, una forma di apprendimento automatico, per comprendere meglio il funzionamento delle batterie ricaricabili al litio-ion.

I ricercatori hanno esaminato attentamente le immagini a raggi X degli elettrodi delle batterie a livello nanometrico e hanno scoperto dettagli fisici e chimici precedentemente nascosti. Questo progresso ha il potenziale per migliorare l’efficienza delle batterie al litio-ion e ha anche applicazioni più ampie nella comprensione di sistemi complessi come la divisione cellulare negli embrioni.

Lo studio si è concentrato sulle particelle di fosfato di ferro al litio (LFP), che si trovano comunemente negli elettrodi positivi delle batterie al litio-ion. Queste particelle sono rivestite con uno strato sottile di carbonio per migliorare la conducibilità elettrica.

Per osservare i processi interni delle batterie, il team di ricerca ha creato celle di batterie trasparenti con due elettrodi circondati da una soluzione elettrolitica contenente ioni di litio in movimento libero. Attraverso questa configurazione, sono stati in grado di tracciare il movimento degli ioni di litio durante i cicli di carica e scarica. Questo processo, conosciuto come intercalazione, implica che gli ioni entrino ed escano dalle particelle di LFP.

Il fosfato di ferro al litio (LFP) è di grande importanza nell’industria delle batterie grazie al suo basso costo, alla sua storia di sicurezza e all’utilizzo di elementi abbondanti, rendendolo particolarmente rilevante nel mercato dei veicoli elettrici.

Questo studio è stato condotto come una collaborazione tra ricercatori iniziatasi otto anni fa, quando il professore Martin Bazant del MIT e William Chueh di Stanford hanno combinato le loro competenze in modellazione matematica e microscopia avanzata a raggi X per studiare le particelle delle batterie. In seguito, hanno integrato strumenti di apprendimento automatico per accelerare i test delle batterie e identificare metodi di carica ottimali. Lo studio attuale va oltre, sfruttando la visione artificiale per analizzare le immagini a raggi X a livello nanometrico del 2016, consentendo una comprensione più approfondita delle reazioni di inserzione del litio all’interno delle particelle di LFP.

Pixelizzando le immagini a raggi X, i ricercatori possono catturare la concentrazione di ioni di litio in ogni punto all’interno della particella. Ciò consente loro di creare filmati che illustrano il flusso di ioni di litio dentro e fuori dalle particelle durante la carica e la scarica.

Analizzando le immagini a raggi X, i ricercatori hanno scoperto che il movimento degli ioni di litio all’interno del materiale era strettamente allineato con le simulazioni al computer sviluppate in precedenza da Bazant. Hanno utilizzato 180.000 pixel come dati per addestrare un modello computazionale che descrive accuratamente la termodinamica fuori dall’equilibrio e la cinetica di reazione del materiale della batteria.

Inoltre, lo studio ha rivelato che le variazioni nell’assorbimento degli ioni di litio sulla superficie delle particelle sono correlate allo spessore del rivestimento di carbonio. Questa scoperta suggerisce che ottimizzare lo spessore dello strato di carbonio potrebbe migliorare l’efficienza della batteria, rappresentando un importante avanzamento nel design delle batterie.

I risultati di questo studio offrono spunti per l’ottimizzazione degli elettrodi al fosfato di ferro al litio e dimostrano il potenziale dell’apprendimento automatico e delle tecniche avanzate di imaging per svelare i misteri dei materiali e dei sistemi. Questo progresso non solo apre la strada a miglioramenti nella tecnologia delle batterie, ma offre anche la promessa di studiare la formazione di modelli in altri sistemi chimici e biologici.

Fonti:
– Comunicato stampa del MIT
– Comunicato stampa dell’Università di Stanford
– Rivista “Nature”